Anlac: Cun Conigli se non c’è accordo tra le parti rivedere subito il regolamento

“I componenti della parte agricola si sono rifiutati, per la quinta settimana di seguito, di quotare i listini previsionali del coniglio vivo in commissione unica di mercato per l’eccessiva distanza con i macellatori”.

Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, presidente dell’Anlac Associazione dei Liberi Allevatori aderente ai LiberiAgricoltori.

“Mentre i prezzi al consumo aumentano del 9,7%, su base tendenziale, per via di un’offerta scarsa di prodotto nazionale, i macellatori – aggiunge il responsabile del settore cunicolo della Confederazione – sostengono il contrario come se i dati Ismea non esistessero.

“È evidente l’anomalo andamento del prezzo della filiera e la speculazione in atto – sottolinea De Bonis – e siamo convinti che su questi comportamenti gli organi di controllo dello Stato dovranno investire la Guardia di Finanza e l’Antitrust”.

“Solo con una indagine accurata delle Autorità competenti sarà possibile verificare se i comportamenti di chi domina il mercato dei mangimi siano rispondenti ad una sana e utile concorrenza che avvantaggi il consumatore e tuteli le produzioni nazionali”

“Continuare a tenere il prezzo dei conigli sotto la soglia dei costi di produzione – prosegue De Bonis – calpestando tutte le regole della concorrenza farà chiudere gli allevamenti dando un altro duro colpo alla agricoltura nazionale.

“Sorprende, infine come tra tutte le associazioni solo Coldiretti non abbia ancora manifestato la volontà di richiedere la convocazione del tavolo ministeriale per suggerire le opportune modifiche regolamentari. Purtroppo – ha concluso l’esponente dei LiberiAgricoltori – l’Anlac, dopo le ultime modifiche del 29 aprile scorso, alcune delle quali di dubbia legittimità, era stata, come sempre, facile profeta pronosticando un cattivo funzionamento del regolamento.

Cun conigli, Anlac: cambiano i regolamenti ma non cambia la musica

th A seguito dell’ appello lanciato al Presidente della Repubblica da parte dell’ Anlac, la Cun è ripartita – dopo tre mesi di sospensione – ma le modifiche al regolamento di funzionamento pretese dagli industriali (a scatola chiusa) hanno abrogato il dibattito e ridotto gli spazi di democrazia, trasparenza e neutralità, auspicati da un parere dell’ AGCM. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, presidente anlac, associazione nazionale liberi allevatori di conigli.

Nel mercato – aggiunge De Bonis – da tre settimane i macellatori dichiarano una tendenza in calo o stabile sul vivo. Una situazione paradossale a fronte della Borsa merci di Milano in rialzo sul macellato anche per il contestuale aumento dei prezzi internazionali. Come possono allora gli stessi macellatori dichiarare in Cun una tendenza e a Milano l’esatto opposto?

Il doppiopesismo dei macellatori favorisce la divaricazione tra prezzi all’ origine e prezzi all’ ingrosso – evidenzia il presidente – cartina al tornasole di un evidente fenomeno speculativo in atto da anni, e mai represso, che costringe gli allevatori a passare dal mercato libero a quello integrato (soccide), con danni enormi per la libera concorrenza e la libera iniziativa economica. Questo comportamento anticostituzionale oltre a restringere gli spazi di mercato nelle mani di un ristretto gruppo di industriali, contribuisce a ridurre il grado di autoapprovvigionamento della carne di coniglio con danni enormi anche per il benessere dei consumatori, senza che il Piano di settore abbia saputo offrire sinora una risposta efficace.

Diverse le soluzioni indicate dall’ Anlac. La prima. Fino a quando le commissioni uniche non avranno un ancoraggio a dati di mercato oggettivi e tempestivi (macellazioni, consumi e import-export), sarà difficile contrastare lo strapotere degli industriali che, in assenza di dati aggiornati in tempo reale, abusano della mancanza d’ informazioni  e della dipendenza economica dei commissari allevatori per imporre le loro informazioni soggettive, dunque, di parte. E’ questa una delle ragioni principali delle tensioni all’ interno della Cun, che non può essere di certo arginata con il Codice etico. Un passo avanti, invece, è stato fatto grazie all’ art 6 bis L. 91/2015 che ha introdotto per legge la trasparenza, la cui applicazione tuttavia tarda ad arrivare. Il decreto attuativo sulle Cun, che doveva entrare in vigore entro il 15 ottobre 2015, dovrebbe declinare e rendere applicabile il principio della trasparenza e definire chiaramente le competenze in tema di vigilanza sulle attività delle Cun. La trasparenza andrebbe inoltre completata attraverso l’ etichettatura obbligatoria d’ origine sulla carne di coniglio, eliminando così le discriminazioni esistenti in Europa solo per questa carne, che il Governo italiano non è riuscito sinora a rimuovere, nonostante varie risoluzioni parlamentari.

La seconda. Il tema del conflitto d’interessi non sembra essere stato risolto. E’ questa una delle altre ragioni delle tensioni all’ interno della Cun, che l’Amministrazione ha tentato di risolvere affidando il compito alle associazioni di categoria. E’ auspicabile che il Ministro Martina nel decreto attuativo dia una svolta in tal senso sottraendo le competenze sul controllo alle organizzazioni sindacali che invece dovrebbero essere proprio i soggetti controllati. La vicenda delle dichiarazioni di assenza di cause di incompatibilità è eloquente e ha dimostrato la scarsa volontà da parte delle organizzazioni di categoria di voler affrontare l’ annosa questione in modo risolutivo. Le esclusive di fatto derivanti dai contratti di soccida e similari andrebbero eliminate attraverso l’abrogazione o disapplicazione dell’ istituto della soccida che rappresenta un’anomalia tutta italiana nel panorama europeo e la fonte di un vantaggio competitivo fiscale (anticoncorrenziale).

La terza. Un inasprimento della deterrenza. E’ necessario rivedere la normativa a riguardo e aumentare le sanzioni amministrative e penali per le false dichiarazioni o le manovre sul mercato delle merci agricole in modo da scoraggiare le manipolazioni, spesso giustificate con le promozioni al trade.

Anlac: dalla Granaiola proibizionismo non nuovo.

grnaiola pdDopo il tentativo naufragato della Brambilla (Forza Italia) anche la Granaiola (Pd) ripropone, con un copia e incolla, il carcere per chi mangia conigli o per chi li alleva. Il Presidente De Bonis (Anlac) chiede al Ministro Martina di intervenire a difesa del Piano di settore cunicolo.

Anche il Partito Democratico ha presentato un disegno di legge per chiedere il carcere nei confronti di chi lavora. La liberta’ d’ iniziativa, in Italia, e’ un optional costituzionale che insegue le mode animaliste. Questa volta dietro alla proposta di legge che vuole proibire l’ allevamento del coniglio c’è la mano di Manuela Granaiola, senatrice Pd eletta al Senato nella circoscrizione Toscana e quella di Silvana Amati (Pd), Marco Filippi (Pd), Daniela Valentini (Pd) Lucrezia Ricchiuti (Pd) e Maurizio Romani (Gruppo Misto), cofirmatari del ddl (n° 2172) assegnato all’ esame della commissione Agricoltura. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, presidente Anlac, associazione nazionale liberi allevatori di conigli.

E’ surreale – spiega il presidente – che un Senatore della Repubblica, con un semplice copia e incolla, chieda il carcere per chi mangia conigli o per chi li alleva e per tutti coloro che sono dediti ad un’attività leader in ambito europeo, senza neppure informarsi delle implicazioni.

Questo settore è strategico! E’ il quarto comparto della zootecnia nazionale e genera migliaia di posti di lavoro. Dal partito dei lavoratori – aggiunge – non ci saremmo mai aspettati un gesto così confuso che contrasta con gli interessi nazionali sanciti dal Piano di settore cunicolo, approvato in Conferenza Stato-Regioni e in corso di attuazione da parte del Governo; un piano che i firmatari evidentemente non conoscono e che anche i loro colleghi di partito hanno approvato nelle commissioni agricoltura di Camera e Senato.

Del resto, la senatrice – prosegue l’ anlac – proprio alcuni giorni fa, in occasione del Primo Maggio, aveva dichiarato su fb “…Come creare lavoro, come salvare diritti e conquiste in un mondo che cambia così velocemente…come ricomporre quella frattura generazionale che esclude migliaia e migliaia di giovani dalla vita economica e civile del paesenon arrendersi ad un qualunquismo che premia i più forti…cacciare i disonesti e isolare quanti sperano di poter prosperare sui drammi di un paese…”. Una simile iniziativa parlamentare, ammantata di animalismo finto e tardivo, stride con le politiche attive di creazione del lavoro, anzi cosi siamo alla distruzione del lavoro, una distruzione creatrice di affetto….

Gli atti della senatrice Granaiola e dei cofirmatari – conclude –  non possono essere lasciati senza una parola di replica da parte del Ministro Martina al fine di contrastare quella che sembra ormai, oltre ad una chiara violazione di principi costituzionali del nostro ordinamento, una vera e propria guerra commerciale, un’ azione di boicottaggio delle carni cunicole, pilotata dalla stessa matrice animalista (o lobbistica), che da tempo ha preso di mira il settore per favorire altri comparti. Viva il lavoro! Abbasso il proibizionismo!

Riparte da Foggia dibattito agricolo

Finalmente si torna a parlare di agricoltura e del possibile trinomio a cui è dedicato il dibattito in Fiera. L’ agricoltura non può sparire dall’ agenda di Governo perché fonte di vita e ambiente. Per farlo però gli agricoltori devono essere gli attori principali della scena e non le comparse. Sinora le associazioni di categoria hanno purtroppo sbiadito l’identità della rappresentanza e annacquato la battaglia in difesa degli interessi del mondo agricolo, mettendo a repentaglio sicurezza degli approvvigionamenti e salute dei consumatori.

Dal dibattito, però, è emerso che ormai l’ agricoltura non garantisce più un reddito dignitoso poiché è stata svenduta nel villaggio globale. Ciò oltre ad essere riprovevole sul piano umano viola anche i trattati europei che prevedono espressamente di “tutelare un equo tenore di vita per le popolazioni rurali“.

Serve, dunque, una proposta seria dal basso fatta da gente onesta che ama la terra, crede al rilancio di un’ agricoltura fatta su basi diverse, lotta contro la disuguaglianza e vuole garantire cibi sicuri al Paese, non solo slogan (“made in Italy”).

Il rischio di una mancanza di approvvigionamento del cibo in caso di chiusura delle frontiere è, infatti, molto alto per un paese come il nostro in cui molte filiere ormai non sono più autosufficienti: la carne arriva dall’ estero, il latte arriva dall’ estero, il grano arriva dall’ estero, il pomodoro arriva dall’ estero, l’olio arriva dall’ estero. Anche la famosa pizza italiana viene fatta al 60% all’ estero: le materie prime sono ormai estere ma gli industriali non vogliono farlo sapere ai consumatori, come invece accade in Svizzera dove le etichette sono trasparenti.

Gli industriali italiani sono altrettanto refrattari verso una maggiore trasparenza nei meccanismi di formazione dei prezzi all’ origine, nonostante la rivoluzione in arrivo da parte delle Commissioni uniche nazionali (Cun). Una vera conquista del mondo agricolo dopo cento anni di borse merci desuete e opache. La mancanza di trasparenza durante i periodi di crisi, accelera derive monopolizzanti sui mercati agricoli. A decidere sono i più forti che abusano anche della dipendenza economica dei produttori.

Sicchè gli agricoltori sono l’unica categoria a cui è negata la possibilità di poter determinare liberamente i prezzi di offerta dei loro prodotti. E anche quando la legge prevede il divieto di vendita sottocosto, le associazioni di categoria fanno melina per non disturbare i manovratori del mercato, di cui sono ostaggi. Insomma, quella agricola è la sola categoria ad essere due volte succube delle multinazionali: quando acquista i fattori della produzione  e quando vende le sue derrate agricole.

Dal dibattito, invece, è emerso che il trinomio è possibile. Coniugare un’ equa distribuzione dei redditi con la regolamentazione dei mercati e la salute pubblica è un obiettivo non solo auspicabile ma anche possibile. Serve sia a lottare la disuguaglianza che a ridurre le incidenze negative sul bilancio sanitario.

La premessa tuttavia risiede in una politica diversa, non subalterna all’ economia delle multinazionali. Le organizzazioni sindacali non solo calpestano la democrazia economica (emblematico il comportamento sulle Cun di Coldiretti e Confagricoltura), ma se ne infischiano anche della salute dei consumatori. Ad esempio, il ritardo di alcune organizzazioni sindacali nel denunciare i problemi di contaminazione dei cereali e derivati è sintomatico. I movimenti agricoli sin dal 19 settembre 2012 avevano denunciato il problema in audizione al Senato, ma Coldiretti da allora non ha mai contrastato Confindustria, che a Bruxelles ha innalzato i limiti delle micotossine, invece di abbassarli. Si e’ limitata solo a scimmiottare il lavoro svolto da altri con il solito folclore.

Durante il dibattito è stato preso a modello l’ esempio americano. L’ Amministrazione Obama tutela il reddito degli agricoltori, anche di fronte alla variabilità dei mercati, esattamente l’ opposto di quanto accade in Europa, dove il budget agricolo ogni anno si riduce sempre di più e nessuno si preoccupa del fatto che intere aree rurali periferiche scivolano verso condizioni di povertà.

Insomma, mentre gli Stati Uniti hanno bisogno degli agricoltori, l’Europa vorrebbe farne a meno. Così il mezzogiorno agricolo muore, mentre gli agricoltori e i consumatori vorrebbero essere sovrani di certe scelte per essere almeno autosufficienti e sicuri di quel che arriva sulle tavole degli italiani.

Nell’ attesa di un cambio di rotta dell’ Unione europea, l’ Italia – che non è stata capace nemmeno di utilizzare gli strumenti e i fondi comunitari previsti per fronteggiare i problemi della globalizzazione – deve però alleviare le sofferenze del mondo agricolo. Potrebbe farlo istituendo un fondo perequativo nazionale alimentato senza incidere sulle casse dello Stato. I proventi per aiutare le aziende agricole in crisi potrebbero essere recuperati dalla lotta all’ elusione ed evasione fiscale dell’ agroindustria (abolizione della soccida industriale; eliminazione delle agevolazioni fiscali per cooperative fittizie prive di mutualità o di funzione sociale e collegate o controllate da società di lucro o multinazionali), dalle sanzioni amministrative comminate all’ agroindustria, dai vitalizi di ex parlamentari ed ex consiglieri regionali, da una metà degli stipendi dei parlamentari delle forze politiche che sinora non l’hanno fatto e, dulcis in fundo, dagli stipendi dorati dei dirigenti sindacali. Coldiretti in primis…

Al dibattito hanno partecipato Saverio De Bonis, presidente Anlac che ha spiegato il funzionamento opaco dei mercati all’origine, l’ importanza del decreto attuativo sulle Cun e le misure necessarie ad un rilancio della zootecnia, Giuseppe L’Abbate membro della Commissione Agricoltura Camera dei Deputati che ha illustrato l’ emendamento istitutivo delle Cun, Piernicola Pedicini, membro della Commissione parlamentare europea per l’ ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare che ha spiegato in video conferenza i problemi legati all’ antibiotico-resistenza e alla salute dei cittadini, Rosa Barone membro della Commissione Sviluppo economico del Consiglio regionale Puglia, Michele Cammarano membro della Commissione agricoltura Regione Campania che ha parlato di etichettatura d’origine, Andrea Di Benedetto che si è soffermato sulla problematica delle micotossine nel grano e sul contrabbando dei grani sporchi. L’evento è stato moderato da Roberto Carchia, Agronomo della Fima, federazione italiana movimenti agricoli.

Unaitalia e Assoavi contro lo strumento Cun. Anlac: “trasparenza fondamentale per democrazia economica”

Le principali associazioni di trasformazione delle carni bianche violando i principi di correttezza e buona fede, calpestano la trasparenza di cui all’art 6 bis della L. 91/2015, che istituisce e protegge le Cun, per tornare all’ oscurantismo delle borse merci locali.

Dopo la sospensione della Commissione unica del mercato cunicolo disposta dal Mipaaf, si rischia di ritornare ad un periodo di profondo ed angoscioso oscurantismo, durante il quale la trasparenza della formazione dei prezzi all’ origine sarà messa in discussione. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, presidente Anlac, associazione nazionale liberi allevatori di conigli.

Le Cun – aggiunge – sono nate in Italia proprio per superare i meccanismi opachi delle borse merci locali, ma a quanto pare le industrie italiane non vedono di buon occhio la trasparenza nei mercati all’origine e si stanno attrezzando per riaprire la Borsa merci di Verona non senza la complicità di alcune organizzazioni agricole. Così, il lavoro portato avanti dal Parlamento e dall’ amministrazione centrale in questi anni, seppure con fatica, rischia di svanire nel nulla insieme al piano di settore.

Dopo l’ autosospensione di UnaItalia, di oltre un anno fa, – prosegue – è arrivata l’ autosospensione di Assoavi, che da circa due mesi ha bloccato il funzionamento della Cun-conigli, favorendo prezzi speculativi a danno degli allevatori e dei consumatori su cui presto investiremo l’antitrust, dopo aver prontamente informato anche il Presidente della Repubblica Mattarella affinchè difenda la democrazia economica nel nostro Paese.

Il comportamento dell’ industria non è casuale – sottolinea il presidente – ma appare un gesto politico concomitante con la discussione del decreto attuativo sulle Cun. Secondo l’ Anlac, il decreto, che doveva essere già emanato entro il 5 ottobre 2015, deve disciplinare il funzionamento delle commissioni nelle principali filiere italiane e risolvere l’annosa questione dei conflitti d’interesse e dei dati necessari per elaborare in maniera trasparente le previsioni di tendenza e i prezzi indicativi. Ma a qualcuno il decreto non va giù.

L’ industria di trasformazione – fa notare – teme forse che si possa mettere in discussione non tanto la governance delle commissioni attuali (suini e conigli), quanto l’ organizzazione della filiera in forma di soccida. Un’ ascesa delle Cun potrebbe rappresentare una minaccia per gli equilibri di mercato e gli allevatori che hanno perso la loro autonomia imprenditoriale grazie alle Cun potrebbero recuperarla.

La nostra associazione – conclude – ha lanciato l’allarme e sarebbe una pesante irresponsabilità non intervenire con fatti concreti che pongano uno stop all’ abuso di dipendenza economica. Ci appelliamo a tutti i rappresentanti delle istituzioni democratiche affinchè risolvano il problema in maniera definitiva, bloccando ogni tentativo di riapertura della borsa merci di Verona, e, soprattutto, dissuadendo Confagricoltura, Cia e Coldiretti. Invitiamo, infine, il Ministro Martina ad accelerare l’emanazione del Decreto e a riaprire velocemente la Cun conigli.

Conigli importati a manetta per ingolfare il mercato italiano – A quando l’etichettatura?

In queste ultime settimane, in concomitanza con la sospensione delle rilevazioni da parte della Cun, stà arrivando in Italia (dalla Cin) una marea di conigli esteri che contribuisce ad alimentare la speculazione al ribasso verso gli allevatori italiani. E’ una routine a febbraio, ma quest’anno il fenomeno è ancor più accentuato.

Come è possibile che all’estero riescano a produrre conigli sottocosto? Noi una nostra idea ce la siamo fatta.

La Cina nel mondo è il primo produttore ed esportatore di conigli. La Germania in Europa è il primo importatore di conigli cinesi, mentre l’ Italia è il terzo importatore nel mondo e il primo consumatore europeo e, solo apparentemente, non importerebbe dalla Cina il suo fabbisogno. Due più due fa quattro. Questi conigli cinesi sottocosto arrivano nel bel paese o attraverso scambi commerciali a prezzi di dumping e mediante triangolazioni oppure mediante discriminazioni da parte dei partner europei.

 
La prima ipotesi: scambi commerciali internazionali extra-Ue. I conigli cinesi in via diretta e indiretta

La Germania esporta molte tecnologie in Cina, in compenso si è accordata con la Cina per fare arrivare in Europa una serie di derrate alimentari, tra cui i conigli (tutti rigorosamente senza fegato), la maggior parte dei quali affluiscono nel paese europeo con il maggior consumo che è proprio l’Italia. L’arrivo di conigli cinesi in Italia non solo avviene direttamente, ma anche attraverso triangolazioni. Una volta che i conigli cinesi approdano in Europa diventano europei (basta poco per farlo). A questo punto dalla Germania passano alla Francia o all’ Ungheria. In Ungheria ci sono diversi importatori italiani che fanno questo lavoro. Da questi paesi poi raggiungono l’ Italia e vanno a finire nelle sale taglio.

La seconda ipotesi: comportamento sleale da parte di Francia e Ungheria. I conigli europei sottocosto

Alcuni macelli francesi e ungheresi smaltirebbero il loro surplus a prezzi stracciati verso l’Italia. Sono noti gli importatori abituali dal Piemonte e dall’ Emilia che hanno perfino litigato per ottenere le forniture. Non mancano importatori anche al sud.

La discriminazione internazionale dei prezzi praticata da queste due nazioni non tiene conto delle perdite dei produttori italiani, tende a favorire pratiche di monopolio in Italia e altera la struttura del commercio tra i Paesi dell’Unione europea.

Non è detto però che questo corrisponda al vero secondo la Commissione europea. Almeno nei confronti della Francia (anche se abbiamo dimostrato il contrario alla Commissione con le fatture!). L’Ungheria – avendo solo due macelli da 40 mila capi cadauno – è chiaro che fa transitare verso l’ Italia conigli extra-Ue.

Spesso, invece, si assiste ad un vero e proprio baratto (countertrade) per fare entrare i conigli europei sottocosto in Italia. Dall’ Italia partono camion di polli e maiali in esubero rispetto al nostro consumo interno, e magari sottocosto verso il nord Europa. In cambio questi camion tornano pieni di conigli sottocosto. In alcuni casi sono gli stessi produttori di tecnologie che barattano impianti verso l’Europa dell’ est in cambio di conigli.

In questo momento l’export di pollo sta subendo ulteriori difficoltà congiunturali in Germania, perciò le quotazioni in Italia sono ulteriormente crollate per ovvio eccesso di offerta. E chi produce il pollo, in questa situazione di difficoltà, è ovvio che ha più interesse a spingerlo al posto del coniglio. Normalmente già accade, figuriamoci quando il pollo è a terra!

Dalla Cun alla Cin il trucco e’ semplice. Basta cambiare una lettera.

Questa situazione si riflette sul mercato del coniglio vivo, specie adesso che la Cun è chiusa e gli speculatori cantano vittoria proprio grazie alla Cin. E’ singolare il fatto che alcuni gruppi integrati, di fronte alle difficoltà che ci sono nel mercato, in parte dovute anche al pollo, riescano a ritirare i conigli dagli allevatori a libero mercato, a condizione che questi accettino di comprare il loro mangime e/o di passare al mercato integrato. Un trucco che produce i suoi effetti. Qualcuno si spinge a proporre un prezzo fisso pari ad € 1,80/kg a fronte del ritiro di almeno il 75% del mangime. Ma come i conigli valgono così poco e qualcuno e’ disposto a pagare di piu’?

Nessuno di questi gruppi integrati però si rivolge alle autorità di controllo del mercato o antifrode per segnalare l’arrivo di merce europea o extra-Ue sottocosto. Un silenzio un po’ sospetto che serve a mascherare il trucco.

Tutte queste manovre di mercato, lecite e illecite, sono agevolate, artatamente, da una strana coincidenza delle cose: l’ assenza di etichettatura obbligatoria dell’ origine a livello europeo SOLO per le carni cunicole. Non la vuole la Germania, non fa comodo nemmeno all’ Italia (la Cin ha comprato Pirelli, Poste Italiane e altre 345 aziende; ritira inoltre solo le pelli degli “amici”) anche se nel bel paese c’è il 50% dei consumatori europei che ne trarrebbe vantaggi.

È per questo che i controlli fanno acqua in Italia, non bisogna disturbare la Cin, né i manovratori del mercato che con i loro artifici provocano riduzioni del prezzo nel mercato nazionale per indurre gli allevatori di conigli a passare in soccida.

Infatti, quando qualche macellatore-importatore viene preso con le mani nella marmellata a spacciare conigli stranieri (made in Cin) per italiani, riesce a farla franca perché i controlli in Italia non funzionano come dovrebbero.

Chi ne fa le spese? I produttori italiani insieme ai consumatori ignari. Viva la  Cin e abbasso la Cun…

Anlac: “Stupore per servizio Rai sui conigli”. Disinformazione non rende onore a primato italiano. Appello all’ ordine dei giornalisti

robertabadaloni02Il servizio andato in onda mercoledì sera al TG1, curato dalla dott.ssa Roberta Badaloni, ha diffuso immagini negative e divulgato notizie infondate circa le modalità con cui si effettua l’ allevamento di conigli da reddito, che ci lascia allibiti e non rende onore al primato italiano. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, presidente dell’ Anlac, associazione nazionale liberi allevatori di conigli.

E’ già da tempo – sottolinea – che qualche parlamentare tenta di far passare i conigli da reddito come animali da compagnia, proponendo – attraverso una comunicazione forzosa – addirittura dei disegni di legge e utilizzando le reti televisive o la carta stampata di “editori privati” per portare avanti un obiettivo folle a favore di una minoranza del 2% degli italiani, che non consumano carne di coniglio ma lo utilizzano come animale d’ affezione.

Noi rispettiamo tutti – prosegue il presidente anlac – ma pretendiamo uguale rispetto per il nostro lavoro e siamo pure un po’ stanchi di subire continui maltrattamenti. Come si può pretendere che i nostri allevatori rinuncino, per legge, ad un’ attività da reddito, che da lavoro a migliaia di persone, soddisfa i fabbisogni di consumo di milioni di italiani ed è svolta rispettando le norme più rigorose al mondo, per assecondare un disegno fantasioso già abortito sul nascere?

Se l’informazione pubblica – aggiunge – pensa di fare audience attraverso attentati all’ economia nazionale, senza tener conto del pluralismo delle voci e del codice deontologico di un giornalista, sbaglia di grosso. Tra i doveri del giornalista c’è il rispetto del diritto all’ informazione di tutti i cittadini, che peraltro pagano pure il canone, quindi anche degli allevatori e non solo degli animalisti.

In particolare – evidenzia l’ anlac – un giornalista è tenuto a correggere tempestivamente e accuratamente i suoi errori o le inesattezze, specie se non conosce la materia, in conformità con il dovere di rettifica, e a favorire la possibilità di replica per non violare le basilari regole del proprio codice professionale.

Abbiamo già scritto alla giornalista Badaloni – conclude De Bonis – che non ci ha ancora risposto, adesso esortiamo l’ ordine dei giornalisti ad assumere le iniziative del caso e il servizio televisivo pubblico a rettificare tempestivamente le notizie diffuse dando voce agli allevatori.

Cun conigli, Anlac: quotazioni in lento rialzo ma sempre sottocosto

prezzi falsatiNonostante la diffida pervenuta a tutti i commissari da un gruppo di allevatori del Friuli, già in stato di agitazione per l’andamento anomalo dei prezzi sottocosto, gli allevatori della Cun non hanno saputo negoziare un valore di listino equo. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, presidente Anlac, associazione nazionale liberi allevatori di conigli.

L’ aumento di appena tre centesimi – prosegue – che porta questa settimana il prezzo a euro 1,52/kg, non trova riscontro con l’ aumento schizofrenico del macellato di Milano (+ 40 centesimi in una quotazione!) né con l’ anticipo dei carichi in atto da almeno tre settimane in tutta Italia. E’ dunque il frutto di una incapacità negoziale di alcuni allevatori.

L’ offerta, infatti, è carente – aggiunge il presidente – a causa di tre fattori congiunturali. Il primo relativo alle importazioni i cui volumi nel I° trim 2015 aumentano del 9,5% e sembrano modificate nella provenienza: nel mese di marzo sono arrivati in Italia conigli cinesi sottocosto, mentre la riduzione dei volumi importati dalla Francia (-17% nel primo trimestre 2015) è stata compensata dal raddoppio delle importazioni ungheresi (+135%). Il secondo è dovuto ad una riduzione importante dei numeri della produzione nazionale. In alcune regioni italiane come il Piemonte manca mediamente il 20% dei conigli, perché da diversi mesi gli allevatori sono stati invitati (o meglio obbligati) dai macellatori a ridurre gli accoppiamenti. Stesso dicasi per il nord-est. Il terzo cambiamento è dovuto alla progressiva chiusura di altri allevamenti che hanno smesso di produrre a seguito della politica di sottocosto imposta dai macellatori in nome di un mercato falsato e pilotato.

L’ andamento della domanda – fa notare l’ anlac – è infatti da diversi anni sempre stabile, anche se i dati di consumo complessivi di carne di coniglio (intero e porzionato) del 2014 non sono ancora pervenuti e i macellatori sostengono continuamente cali dei consumi.

Di fronte a questa fotografia di mercato – sottolinea il presidente dell’ anlac – i macellatori non devono lamentarsi della mancanza di profitto sul macellato. Questa è un’alibi ingiustificata se si considera che gli allevatori non vedono profitti da diversi anni, mentre loro incamerano un triplice utile: dalla carne lavorata, dalle pelli e alcuni di loro anche dal mangime. In pratica – evidenzia De Bonis – chi trasforma incamera quasi tutto il valore aggiunto possibile, impoverendo gli allevatori e senza procurare vantaggi ai consumatori.

Il deficit di capacità contrattuale non caratterizza però tutti i commissari. Tra gli allevatori – conclude De Bonis – ve ne sono diversi “assoggettati” a questo o a quel gruppo industriale che accettano supinamente quello che gli viene imposto prima di entrare in Commissione. Secondo l’ Anlac, chi non è libero economicamente di vendere o acquistare non dovrebbe stare in Commissione, specie se non ha firmato la dichiarazione d’ insussistenza di cause d’ incompatibilità, ma continua a giovarsi dell’ avallo di dirigenti sindacali nazionali collusi.

Conigli, Anlac: ricorso presso Corte europea dei Diritti dell’ uomo

corte CeduFOTO gruppo_class_action

I diritti negati agli allevatori italiani e ai consumatori di conigli in Europa sono stati oggetto di un ricorso presentato dai legali dell’ Anlac presso la Corte europea.

Ci siamo rivolti alla Corte europea dei Diritti dell’ uomo perché ci sentiamo traditi dalla mancata implementazione delle misure di programmazione nazionale di settore e dalla Commissione europea che stà discriminando questo comparto. Lo dichiara Saverio De Bonis, presidente Anlac, associazione nazionale liberi allevatori di conigli.

Non si può continuare a lavorare – prosegue – con prezzi al di sotto del 38% rispetto allo scorso anno, senza adottare nessuna misura di tutela verso le importazioni sottocosto provenienti dalla Cina e dalla Francia e senza nessun contrasto a manovre illecite che tentano di limitare la libertà economica degli allevatori italiani, primi in Europa.

Di fronte ad un mercato – aggiunge l’ associazione – che non risponde più alle regole della concorrenza, dunque, all’ offerta e alla domanda, e che non consente meccanismi trasparenti di scelta ai consumatori, è inaccettabile la posizione della Commissione secondo la quale è meglio optare per una scelta volontaria, piuttosto che su una etichettatura obbligatoria dell’ origine a livello comunitario.

Secondo l’ Anlac, i dubbi sollevati dallo studio sull’ inopportunità di estendere l’etichettatura di origine obbligatoria per prodotti di nicchia non appaiono convincenti, in quanto nel nostro Paese anche gli ovi-caprini hanno le stesse quote di consumo pro-capite della carne di coniglio, ma godono dell’ obbligo di informare i consumatori.

La raccomandazione da parte della Commissione europea, benchè priva di valore giuridico, è peraltro in netto contrasto con la volontà e gli impegni del Governo italiano.

E’ ora che lo Stato italiano, – sottolinea il presidente dell’ Anlac – che non ha adottato nessuna misura prevista dal piano di settore per contrastare la crisi del settore, ad eccezione della Cun, metta in atto tutti gli impegni presi attraverso le varie risoluzioni parlamentari, senza subire i condizionamenti delle potenti lobby agroindustriali.

Occorre agire – conclude – prima che sia troppo tardi e che il tessuto produttivo italiano che opera a libero mercato venga smantellato o passi nelle mani di tre gruppi industriali, in una deriva monopolizzante dannosa per i consumatori e per la libera concorrenza.

CUN CONIGLI, ANLAC: PREZZI FALSATI MINACCIANO LIBERO MERCATO

Il presidente dell’ Anlac Saverio De Bonis sottolinea i comportamenti anticonconcorrenziali che rischiano di compromettere l’ intero comparto cunicolo italiano e tentano di far saltare l’ esperimento Cun.

E’ una lotta senza precedenti quella che si stà verificando queste settimane, per qualcuno un braccio di ferro politico teso a far saltare la Cun. Nelle ultime tre sedute c’è stato un calo enorme di 37 centesimi al chilo che porta il livello di prezzo ad euro 1,37/kg, oltre sessanta centesimi sotto il costo di produzione, mentre in Francia la quotazione del vivo non scende al di sotto di euro 1,80/kg.

Il disegno di qualcuno è chiaro: annullare il libero mercato e far passare tutti sotto la governance di tre mangimifici industriali, che stanno investendo sulle perdite pur di arrivare al controllo di tutti gli allevamenti e macelli liberi. Un cartello che si è suddiviso i compiti: una parte, opera dall’ esterno della Cun fissando i prezzi a Milano e Treviso, dopo aver svolto questa attività a Padova e Verona, e dopo aver firmato il Protocollo Cun, l’ altra, agisce dall’ interno per influenzare alcuni allevatori -non neutrali e perciò incompatibili con il ruolo di commissari- ad allineare il prezzo Cun all’ interno di un intervallo compreso tra le quotazioni di Milano e Treviso. Non è un caso se dall’ inizio di gennaio ad oggi, la media del prezzo Cun è stata pari ad euro 1,56, quella di Milano pari ad euro 1,53 e quella di Treviso pari ad euro 1,62.

La manovra, dunque, è sempre la stessa: si finge un calo dei consumi, si slittano un po’ di carichi agli allevatori, si intasa il mercato con il 5% di merce estera francese ed il gioco è fatto. Se il mercato non fosse manipolato e falsato, per il principio di libera concorrenza, i nostri macellatori avrebbero dovuto esportare di più in Francia, dove il vivo costa di più e pure il macellato. Invece nessuno è in grado di esportare, la scusa è che una parte piccola di macellato francese arriva sottocosto, addirittura per volontà della GD francese, mentre il grosso della produzione viene venduto in Francia a prezzi più elevati che in Italia. Ma può un camion a settimana condizionare dalla Francia un mercato così grande come quello italiano, senza che nessuna Autorità di controllo intervenga? E se ci fosse un intesa tra i francesi e i grossi macellatori italiani?

Gli effetti restrittivi sono ormai evidenti. Gli allevamenti e i macelli chiudono ogni giorno. Sui punti vendita italiani la distribuzione è rarefatta, solo un supermercato ogni cinque dispone di coniglio e in molte catene vi è rottura di scorte nonostante i prezzi vantaggiosi. E’ la dimostrazione che i consumi sono costanti, non c’è un eccesso di offerta italiana, come si vuol far credere, ma solo una manovra illecita tesa a favorire il controllo degli approvvigionamenti.