In queste ultime settimane, in concomitanza con la sospensione delle rilevazioni da parte della Cun, stà arrivando in Italia (dalla Cin) una marea di conigli esteri che contribuisce ad alimentare la speculazione al ribasso verso gli allevatori italiani. E’ una routine a febbraio, ma quest’anno il fenomeno è ancor più accentuato.
Come è possibile che all’estero riescano a produrre conigli sottocosto? Noi una nostra idea ce la siamo fatta.
La Cina nel mondo è il primo produttore ed esportatore di conigli. La Germania in Europa è il primo importatore di conigli cinesi, mentre l’ Italia è il terzo importatore nel mondo e il primo consumatore europeo e, solo apparentemente, non importerebbe dalla Cina il suo fabbisogno. Due più due fa quattro. Questi conigli cinesi sottocosto arrivano nel bel paese o attraverso scambi commerciali a prezzi di dumping e mediante triangolazioni oppure mediante discriminazioni da parte dei partner europei.
La prima ipotesi: scambi commerciali internazionali extra-Ue. I conigli cinesi in via diretta e indiretta
La Germania esporta molte tecnologie in Cina, in compenso si è accordata con la Cina per fare arrivare in Europa una serie di derrate alimentari, tra cui i conigli (tutti rigorosamente senza fegato), la maggior parte dei quali affluiscono nel paese europeo con il maggior consumo che è proprio l’Italia. L’arrivo di conigli cinesi in Italia non solo avviene direttamente, ma anche attraverso triangolazioni. Una volta che i conigli cinesi approdano in Europa diventano europei (basta poco per farlo). A questo punto dalla Germania passano alla Francia o all’ Ungheria. In Ungheria ci sono diversi importatori italiani che fanno questo lavoro. Da questi paesi poi raggiungono l’ Italia e vanno a finire nelle sale taglio.
La seconda ipotesi: comportamento sleale da parte di Francia e Ungheria. I conigli europei sottocosto
Alcuni macelli francesi e ungheresi smaltirebbero il loro surplus a prezzi stracciati verso l’Italia. Sono noti gli importatori abituali dal Piemonte e dall’ Emilia che hanno perfino litigato per ottenere le forniture. Non mancano importatori anche al sud.
La discriminazione internazionale dei prezzi praticata da queste due nazioni non tiene conto delle perdite dei produttori italiani, tende a favorire pratiche di monopolio in Italia e altera la struttura del commercio tra i Paesi dell’Unione europea.
Non è detto però che questo corrisponda al vero secondo la Commissione europea. Almeno nei confronti della Francia (anche se abbiamo dimostrato il contrario alla Commissione con le fatture!). L’Ungheria – avendo solo due macelli da 40 mila capi cadauno – è chiaro che fa transitare verso l’ Italia conigli extra-Ue.
Spesso, invece, si assiste ad un vero e proprio baratto (countertrade) per fare entrare i conigli europei sottocosto in Italia. Dall’ Italia partono camion di polli e maiali in esubero rispetto al nostro consumo interno, e magari sottocosto verso il nord Europa. In cambio questi camion tornano pieni di conigli sottocosto. In alcuni casi sono gli stessi produttori di tecnologie che barattano impianti verso l’Europa dell’ est in cambio di conigli.
In questo momento l’export di pollo sta subendo ulteriori difficoltà congiunturali in Germania, perciò le quotazioni in Italia sono ulteriormente crollate per ovvio eccesso di offerta. E chi produce il pollo, in questa situazione di difficoltà, è ovvio che ha più interesse a spingerlo al posto del coniglio. Normalmente già accade, figuriamoci quando il pollo è a terra!
Dalla Cun alla Cin il trucco e’ semplice. Basta cambiare una lettera.
Questa situazione si riflette sul mercato del coniglio vivo, specie adesso che la Cun è chiusa e gli speculatori cantano vittoria proprio grazie alla Cin. E’ singolare il fatto che alcuni gruppi integrati, di fronte alle difficoltà che ci sono nel mercato, in parte dovute anche al pollo, riescano a ritirare i conigli dagli allevatori a libero mercato, a condizione che questi accettino di comprare il loro mangime e/o di passare al mercato integrato. Un trucco che produce i suoi effetti. Qualcuno si spinge a proporre un prezzo fisso pari ad € 1,80/kg a fronte del ritiro di almeno il 75% del mangime. Ma come i conigli valgono così poco e qualcuno e’ disposto a pagare di piu’?
Nessuno di questi gruppi integrati però si rivolge alle autorità di controllo del mercato o antifrode per segnalare l’arrivo di merce europea o extra-Ue sottocosto. Un silenzio un po’ sospetto che serve a mascherare il trucco.
Tutte queste manovre di mercato, lecite e illecite, sono agevolate, artatamente, da una strana coincidenza delle cose: l’ assenza di etichettatura obbligatoria dell’ origine a livello europeo SOLO per le carni cunicole. Non la vuole la Germania, non fa comodo nemmeno all’ Italia (la Cin ha comprato Pirelli, Poste Italiane e altre 345 aziende; ritira inoltre solo le pelli degli “amici”) anche se nel bel paese c’è il 50% dei consumatori europei che ne trarrebbe vantaggi.
È per questo che i controlli fanno acqua in Italia, non bisogna disturbare la Cin, né i manovratori del mercato che con i loro artifici provocano riduzioni del prezzo nel mercato nazionale per indurre gli allevatori di conigli a passare in soccida.
Infatti, quando qualche macellatore-importatore viene preso con le mani nella marmellata a spacciare conigli stranieri (made in Cin) per italiani, riesce a farla franca perché i controlli in Italia non funzionano come dovrebbero.
Chi ne fa le spese? I produttori italiani insieme ai consumatori ignari. Viva la Cin e abbasso la Cun…