Monti non dimentichi il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord

La Svimez ha da poco presentato il suo rapporto annuale, denso di dati e analisi sull’economia del Mezzogiorno, ma il Prof Monti ha dimenticato di parlarne nella conferenza stampa di fine anno, mostrando piu’ il volto di uomo attento ai formalismi imposti dall’ Europa che di analista economico del proprio Paese. La parola Meridione, Mezzogiorno, Sud, non e’ mai stata evocata, nemmeno per errore. Speriamo che cio’ non significhi un disimpegno del Governo. Nei momenti di crisi, storicamente, ci si e’ sempre preoccupati delle aree piu’ forti del Paese, dimendicando la parte piu’ debole. Dopo la lontana stagione degli anni sessanta, non si e’ mai piu’ assistito in Italia ad uno sforzo serio di analisi macroeconomica, vanificando così gli interventi a favore delle aree piu’ deboli. La crisi che stiamo attraversando mordera’ maggiormente al Sud, perche’ l’ economia meridionale non ha superato storiche debolezze strutturali e in un’ Italia con il segno meno nell’ anno alle porte, il Sud viaggia verso percentuali a due cifre che innalzeranno il livello di poverta’.

Quali sono i messaggi che emergono dal rapporto Svimez?

Il primo riguarda la diversa velocità di uscita dalla crisi del Sud rispetto al Centro-Nord. Dopo una caduta del PIL del 6,3% nel biennio 2008-2009, l’economia del Mezzogiorno ha continuato a ristagnare nel 2010, con un modesto +0,2%, che si contrappone al recupero dell’1,7% del Centro-Nord. Le previsioni per quest’anno indicano un aumento del PIL dello 0,1% nel Meridione contro lo 0,8% del Centro-Nord. Il ristagno dei consumi e degli investimenti, unitamente allo scarso peso delle esportazioni, sono la causa del ristagno dell’economia meridionale, con pesanti conseguenze sull’occupazione, in particolare giovanile.

Il secondo messaggio è quello del costo della manovra che – secondo le stime della Svimez – dovrebbe avere un impatto cumulato nel triennio 2011-2013 di 6,4 punti di PIL al Sud e 4,8 punti nel Centro-Nord. Questo soprattutto per effetto dei tagli agli enti locali e della riduzione degli investimenti pubblici sia nazionali che regionali a causa del Patto di stabilità.

Terzo messaggio sono le proposte della Svimez per il rilancio del Mezzogiorno. Gli assi portanti di politica economica dovrebbero essere tre: la realizzazione di grandi opere infrastrutturali nei trasporti; la valorizzazione delle risorse energetiche; il riavvio di una strategia di politica industriale basata sulla fiscalità di vantaggio e sull’internazionalizzazione. Noi aggiungiamo l’ importanza dell’ agricoltura e dell’ agroalimentare di qualita’. Ma il Presidente Monti, su tutto questo, non si e’ ancora pronunciato.

Insomma, si aggravano le divergenze interne al Paese, unico caso in un’ Europa che tende invece, sia pur lentamente, a convergere. Il nostro Paese da troppo tempo non ha piu’ creduto nel Sud e nelle sue possibilita’ di crescita. Quel che atterrisce e’ proprio la mancanza di una visione globale del Paese in cui il Mezzogiorno e’ una parte, se non strategica, almeno integrante.

Quali sono i messaggi che arrivano dal Governo?

Oggi come mai, e’ necessario contrapporsi all’ idea di un meridione visto come fardello di cui progressivamente liberarsi; il nuovo Governo e’ finalmente privo dei condizionamenti di una forza politica come la Lega notoriamente antimeridionalista; c’e’ una nuova manovra (la quinta) da 30 miliardi, di cui 20 per il contenimento del deficit e 10 per la crescita, i cui effetti sul mezzogiorno saranno recessivi, senza un piano di sviluppo.

Il Premier Monti non ha annunciato niente in direzione del Sud durante la conferenza di fine anno, nonostante i ripetuti appelli di Napolitano. Ha parlato invece di misure per la concorrenza e liberalizzazioni. Non ha detto se i fondi FAS continueranno ad essere utilizzati come bancomat per le altre regioni forti. Non ha illustrato come intende aumentare la capacita’ di spesa dei fondi strutturali da parte della pubblica amministrazione. Probabilmente sul tema mezzogiorno sara’ necessario sentire i partiti di maggioranza.

Noi speriamo che quella secessione strisciante venga interrotta; il Ministero della Coesione non appaia privo di significato in questa fase; il Presidente Napolitano non rinunci a surrogare il deficit evidente dei governi nei confronti di una parte significativa dell’ Italia; e vi siano nel 2012 misure incisive per il mezzogiorno.

Diversamente gli effetti recessivi saranno amplificati nel resto del Paese, e allora serviranno altre manovre.

Manovra: movimenti agricoli, l’ agricoltura e’ bene comune non bene di lusso

Altamura, 21 dic. – “Con il decreto ‘Salva Italia’ l’aumento della tassazione raddoppiera’, nonostante lo sconticino apportato da un emendamento della Commissione. Si salvano i soliti furbi, gli evasori, coloro che non vogliono la Tobin tax, mentre il diktat del rigore si abbatte come la scure sull’agricoltura che, invece, puo’ contribuire alla crescita e al risanamento dei conti del Paese, ma non potra’ farlo se verra’ condannata a morte da questa manovra”. Cosi il portavoce del Coordinamento dei movimenti agricoli On. Paolo Rubino, ha commentato la manovra economica durante la conferenza stampa tenuta ad Altamura dove erano presenti diverse associazioni e movimenti agricoli. “Si tratta – dice Rubino – di un fatto estremamente grave, che vede vessare con una tassazione sproporzionata di oltre un miliardo di euro gli agricoltori, escludendoli al contempo da provvedimenti per lo sviluppo, nel silenzio grave delle organizzazioni”.

Con il decreto varato dal Governo, ad esempio, verra’ istituita una nuova imposta municipale (IMU), che sostituisce l’attuale ICI; per i terreni agricoli ci sara’ una doppia fiscalita’: la base imponibile e’ determinata applicando al reddito dominicale un moltiplicatore pari a 110 per i conduttori e proprietari e a 130 per chi e’ solo proprietario, rispetto al valore precedente proposto di 120 uguale per tutti. Lo sconticino dell’ ultima ora non sposta di molto il risultato negativo finale: i fabbricati rurali che non pagavano, oggi pagheranno, ed i terreni che già pagavano, pagheranno il doppio. Il decreto dispone ulteriori oneri per le imprese con la rideterminazione delle aliquote contributive. Senza considerare gli effetti che produrra’ l’ aumento delle accise in termini inflattivi e di competitivita’.

Viene da chiedersi – prosegue il portavoce – quale scenario di sviluppo si puo’ prefigurare per il settore primario dopo questo salasso, soprattutto, per un’area del Paese come il Sud che vive di agricoltura? Occorre scongiurare questo ennesimo colpo alla tenuta del sistema agricolo del mezzogiorno che la manovra equipara ad un bene di lusso. Salvare il Paese non puo’ e non deve significare condannare l’agricoltura, ma se sara’ necessario ci rivolgeremo alla Corte Costituzionale perche’ questa decretazione d’ urgenza presenta profili di illegittimita’ rispetto al reddito effettivo del settore. In un decennio il reddito agricolo e’ calato del 35,8%, come confermano tutti gli indicatori statistici ufficiali, nazionali e comunitari. Il raddoppio dell’ imposizione fiscale potrebbe, dunque, essere contrario al principio costituzionale della “capacita’ contributiva”, di cui gli agricoltori difettano a causa di una lunga crisi, antecedente al 2007, che impedisce loro di concorrere alle spese pubbliche. Ma non e’ solo la Costituzione a proteggere gli agricoltori, anche la Commissione Tributaria di Lecce ha sancito che la presenza di cause di forza maggiore, e la crisi economica lo e’, puo’ provocare il mancato versamento delle imposte. Con il risultato che i “saldi” previsti dalla manovra potrebbero finire per non essere rispettati. Invitiamo pertanto il governo ed il Parlamento a rivedere le proprie scelte, in direzione di una vera’ equita’ e non di sconticini.

Conferenza Stampa riguardo l’ impatto della manovra fiscale in agricoltura

Il Coordinamento dei movimenti agricoli ha indetto per il prossimo lunedì 19 dicembre una conferenza stampa per illustrare l’ importanza dell’ agricoltura per la crescita del Paese in questa fase convulsa dell’ economia.
La conferenza è coorganizzata con il locale Consorzio CAMPO, il Tavolo Verde di Puglia e Basilicata e l’ Associazione allevatori Anlac.
Nell’occasione, sarà illustrata anche l’azione mobilitativa che le varie associazioni e movimenti stanno mettendo in atto per difendere e valorizzare l’ autentico Made in Italy; per contrastare gli aspetti recessivi della manovra in agricoltura, ivi compresi quelli incredibilmente posti in essere dal decreto salva Italia che invece di rilanciare il settore con misure anticrisi, adotta misure dal profilo anticostituzionale. I fabbricati rurali e i terreni non sono beni di lusso, ma mezzi di produzione che necessitano di una oculata fiscalita’ ed equita’, carenti nella manovra in corso.
La conferenza stampa inizierà alle ore 10,30 e si svolgerà presso la Sala Consiliare del Comune di Altamura (Ba).
Ai giornalisti presenti verranno simbolicamente offerti i prodotti a km. zero del Consorzio CAMPO, privi di contaminanti, e gli agrumi della fascia jonica.

Comunicato Stampa Congiunto

Tavolo Verde Puglia e Basilicata
Consorzio Campo
Anlac

Opprimere il mondo agricolo e’ un attentato al bene comune

Uno scenario allarmante.
Prezzi di vendita al ribasso e svalutati rispetto a venti anni fa, costi di produzione in progressivo aumento, mercati poco trasparenti, oppressione fiscale e stretta creditizia, scarsa tutela e assenza di controlli sui prodotti alimentari, agropirateria, abbandono dei territori, definiscono un quadro molto grave della situazione agricola del Paese e, in particolare, del mezzogiorno. I dati Eurostat ci dicono chiaramente che in agricoltura in Italia dal 2000 al 2009 i redditi sono diminuiti del 35.8% contro un aumento del 5.3% nell’ Ue-27. Sempre in Italia tra il 2008 e il 2009 il calo del reddito agricolo e’ stato del 20.6%.
I numeri della crisi dell’ agricoltura italiana sono eloquenti ed ormai insostenibili. Se la crisi che sta attraversando l’ Europa dall’ estate del 2007 e’ epocale, quella che investe il mondo agricolo e’ addirittura antecedente! Il settore e’ gia’ in sofferenza da oltre dieci anni. Non e’ un caso se di fronte ad aziende attive per 1.630.420 nel 2011 rispetto al 2000 il 30% delle aziende sono uscite dal mercato, che si sommano alle 750 mila espulse nell’ ultimo decennio. I dirigenti di Equitalia hanno dichiarato che ben 980 mila aziende agricole in Italia sono esposte verso banche, Inps e fornitori per una somma complessiva di oltre 50 miliardi! La ragione e’ semplice e l’ ha spiegata bene il nuovo Ministro: “Negli ultimi anni la quota di valore che resta agli agricoltori rispetto a quella che va all’ industria e alla distribuzione si e’ ridotta sensibilmente”, aggiungendo che “si rende necessario riequilibrare la catena agroalimentare”.

Una stangata irricevibile.
Nel disfacimento politico in atto – sono gia’ cambiati quattro ministri – e’ inevitabile che acquisti spazio il malumore dal basso per gli annunciati inasprimenti fiscali da parte di un Governo, che pur consapevole delle gia’ gravi sofferenze del settore e della necessita’ di un riequilibrio, non intende risparmiare un salasso: nuove tasse ed aumenti nelle accise sui carburanti. Si vuole infatti incrementare la base imponibile con nuove tasse sugli strumenti di lavoro: fabbricati rurali e terreni. E’ vergognoso e inaccettabile. La terra essendo un fattore della produzione merita un trattamento fiscale ben diverso da quello riservato ad attivita’ speculative. Il gettito fiscale per una piccola azienda di 50 ettari a seminativi con alcuni fabbricati rurali, che attualmente versa un’ Ici di circa 2500 euro, ammonterebbe ad un totale di oltre 9000 euro, fabbricati rurali compresi, con un incremento vicino al 400% dell’ attuale carico fiscale. Per salvare l’ Italia non possiamo condannare l’ agricoltura con nuovi ostacoli di ordine economico!

Effetti sui consumi e concorrenza.
Dall’ incremento delle accise sui carburanti si stima che l’ aumento del gasolio che ne deriva, comportera’ un aumento dei costi per tutte le aziende di oltre 2 miliardi. I carburanti e i trasporti incidono per circa un terzo sui costi di frutta e verdura e assorbono mediamente un quarto del fatturato delle aziende agroalimentari. E’ inevitabile l’ incremento a cascata sui prezzi dei prodotti alimentari che i consumatori accuseranno, con un ovvia flessione nei consumi e nelle quote di mercato dei prodotti italiani in Europa. Un favore ai concorrenti europei, a danno dei consumatori e produttori italiani. Evviva il bene comune!

Servono misure di sostegno non inasprimenti.
Rivendichiamo da parte del governo e del parlamento la presa d’ atto di una situazione di fatto che ha portato tutte le regioni d’ Italia alla richiesta dello stato di crisi del settore agricolo. Motivandolo con le varie crisi di mercato, con i prezzi bassi, con l’ aumento dei costi, con calamita’ varie, con costi del denaro da usura, con scarsa trasparenza dei mercati, con pretese da parte dell’ Inps di crediti non dovuti, con l’ impossibilita’ di accedere al credito bancario e con la violenza degli enti esattori. Il governo assicurando equita’ nelle misure, aveva suscitato speranze negli operatori piu’ deboli e indebitati, invece, il comparto assiste basito ad una duplice iniquita’: la mancanza di misure di sostegno al settore e l’ inasprimento delle misure fiscali.
In agricoltura servono misure efficaci per rendere trasparenti i mercati e i meccanismi di formazione dei prezzi agricoli, spesso distorsivi della concorrenza, da cui dipende il vero reddito degli agricoltori. Solo dopo si puo’ pretendere di tassare quei redditi, oggi assenti. I prezzi reali dei prodotti agricoli sono, infatti, fermi a quelli di venti anni fa, senza nessuna rivalutazione, mentre gli agricoltori subiscono indifesi l’ azione delle lobby speculative e l’ inflazione da costi dei fattori produttivi, in una forbice ormai letale. Nessuna azione di contrasto da parte delle Autorita’ Antitrust, anche a fronte di prove documentali!

I rischi di disagio sociale, i profili d’ incostituzionalita’ e le proteste fiscali.
Di fronte a questo fenomeno allarmante, ci pare di registrare una grande disattenzione sulle ricadute che l’ abbandono della terra determina sui territori, sulla qualita’ dei paesaggi, sulla vita delle persone, sulla sicurezza alimentare, sulla spesa sanitaria e, non da ultimo, sulla desertificazione anche sociale delle aree rurali.
Noi ci rendiamo perfettamente conto della delicatissima situazione finanziaria in cui il nostro Paese si trova. Cio’ che non possiamo accettare e’ l’ impedimento che agli agricoltori si fa nel concorrere ad un contributo collettivo per la crescita. Se le aziende agricole, come confermano i dati, hanno potuto contribuire alla tenuta del Pil cio’ lo si deve, a due fattori: la loro predisposizione all’ auto sfruttamento e l’ attaccamento, il loro legame ancestrale con la terra con la quale li lega non solo una ragione economica, ma affettiva e culturale. E’ un dono continuo il nostro, caritatevole, quasi missionario, che l’ attuale politica non protegge. Al suo agire spetterebbe perseguire una giustizia distributiva, da tempo assente nel governo del nostro Paese, insidiato unicamente da un agire economico. Noi riteniamo che oggi, di fronte ad uno scenario di crisi dei debiti sovrani, si debba procedere a far cassa aumentando il prelievo in altre direzioni. Ad esempio con una tassazione ulteriore sui capitali scudati, intensificando la lotta all’ evasione e dismettendo eventualmente le proprieta’ fondiarie pubbliche. Senza trascurare l’ enorme spazio impositivo che offre l’ economia finanziaria, che richiederebbe un concerto di misure internazionali. Diversamente si moltiplicheranno i cori di dissenso verso una classe politica incapace di farsi interprete delle problematiche di chi vede messa a repentaglio la propria attività agricola, il proprio lavoro, costruito in autonomia e con tanti sacrifici. Noi non vogliamo venir meno ai doveri di solidarieta’ economica verso il Paese, sanciti dalla Costituzione, secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Ma la questione sta’ proprio qui. L’ effettiva capacita’ contributiva dell’ agricoltura contrasta con i coefficienti che l’ amministrazione finanziaria si accinge a varare e fa sorgere dubbi verso i professori del governo: la nuova imposizione fiscale potrebbe essere contraria al principio costituzionale della capacità contributiva consacrato nell’art. 53 della Costituzione, in quanto non incentrata sull’effettiva, reale capacità contributiva del contribuente. Poiche’ e’ ufficialmente acclarata la mancanza di reddito in agricoltura, gli agricoltori veri, di conseguenza, non hanno un effettiva capacita’ contributiva. Il provvedimento, dunque, rischierebbe di avere profili di incostituzionalita’. Oltreche’ sul piano costituzionale, su quello tributario ci sono cause di forza maggiore che impediscono al mondo agricolo di far fronte a nuove imposizioni fiscali e, se inascoltate, produrranno una valanga di ricorsi nelle competenti Commissioni tributarie, che avranno probabilmente l’ effetto di ridurre il gettito previsto dall’ erario, impedendo il rispetto del pareggio di bilancio. I giudici tributari hanno ritenuto, infatti, che il mancato versamento delle imposte a causa di un’imprevista crisi economica a largo spettro configuri quell’ ipotesi di forza maggiore intesa “… quale forza esterna che determina, in modo inevitabile, a compiere un atto non dovuto che, nella fattispecie, consisteva nel versamento delle imposte” (Sentenza n 352/1/2010 della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce).
Confidiamo che Governo e Parlamento modifichino la rotta per non avere brutte sorprese!